miércoles, 2 de julio de 2014
Bizarro Earth Volcán Ubinas registró explosión que eyectó material balístico por pulsos de magma
Andina.com
mar, 01 jul 2014 15:31 CDT
19:00. Arequipa, jun. 30. Debido a los pulsos de ascenso de magma, el volcán Ubinas, ubicado en Moquegua, registró hoy una nueva explosión pero esta vez con eyección de material balístico como no ocurría hace varios días, sostuvo Orlando Macedo, investigador principal del área de Vulcanología del Instituto Geofísicodel Perú (IGP).
La explosión se produjo a las 08:58 horas, y expulsó fragmentos de lava a 800 metros de distancia del cráter con dirección sureste, luego del cual se formó una columna eruptiva de gases y ceniza de 3200 metros de altura, precisó a la Agencia Andina.
"Desde el último sábado observamos el acenso del magma paulatino y podía calcularse que se iba a producir una explosión, por lo que se alertó a las autoridades de defensa civil, pero se les dijo que sería moderada", refirió.
Añadió que los pulsos de ascenso de magma podrían continuar pero en general la actividad del volcán Ubinas sigue disminuyendo, como la sísmica que brinda las mayores pautas de que lo ocurre.
El experto indicó que desde fines de abril se ha mantenido bastante baja la actividad del volcán Ubinas con algunas emisiones de gases y explosiones, pero el 25 de junio comenzó a aumentar ligeramente y el 27, 28, 29 se notó que la actividad sísmica subía cada vez, por lo que se esperaba la explosión de esta mañana.
El día de hoy la dirección predominante de la dispersión de ceniza fue en dirección noreste y se reportaron caídas de ceniza desde las 09:00 hasta las 11:00 hrs. en las localidades de Lloque, Yalahua y Lucco.
El Misti
De otro lado, sobre el comportamiento del volcán Misti, ubicado en Arequipa, Macedo manifestó que hasta ahora solo hay emisiones de vapor de agua, tras el calentamiento del sistema hidrotermal del macizo.
"El Misti tiene una actividad intermitente. Para nosotros es un buen signo que no haya evidencias de gases de tipo magmático, solo vapor de agua", expresó.
Lo importante es que el Misti da señales y aún está tranquilo, concluyó.
(FIN) TMC
Visto en: sott.net
Avión de la CIA que esparcía virus por el aire ha sido abatido en China.....
Avión de la CIA que esparcia virus en el aire ha sido abatido en China....
Aereo della CIA che spruzzava virus nell’aria è stato abbattuto in Cina … E’ in atto un piano per sterminarci!
Da reports oggi circolanti al Cremlino si constata che un velivolo del governo Americano, pilotato da agenti della CIA e trasportante un cargo di virus dell’influenza suina “modificati” destinati ad essere spruzzati in aria, è stato abbattuto nei pressi dell’aeroporto cinese di Pudong, a Shangai, da un gruppo di sabotatori che si pensa faccia parte dei soldati israeliti di Mossad, cercando così di prevenire un attacco statunitense su una delle loro basi dislocate nell’Asia centrale, in particolare nello stato del Kyrgyzstan.
Secondo gli articoli della stampa cinese riguardanti questo fatto, nell’aeromobile colpito (Zimbabwean MD-II) appartenente alla Avient Aviation, compagnia collegata alla CIA, il cui volo era operato da un primo ufficiale militare britannico, di nome Andrew Smith e registrato nel regno unito, sono rimasti uccisi 3 agenti americani della CIA e feriti 4 altre persone che hanno confermato di provenire da USA, Indonesia, Belgio e Zimbabwe.
Una nota molto interessante di questo fatto è che, mentre era sottoposto alle cure delle sue ferrite, l’uomo indonesiano ha “confessato” alle forze di polizia segreta cinese di essere un tecnico assunto dalla marina militare statunitense per collaborare alla loro misteriosa “Ricerca Medica Navale” (Naval Medical Research Unit No. 2 -NAMRU-2) effettuata in Indonesia nonostante il primo ministro indonesiano della difesa Juwono Sudarsono ne avesse già precedentemente richiesto la chiusura “in quanto le sue operazioni erano troppo segrete e dunque incompatibili con gli interessi sulla sicurezza dell’Indonesia”.
Ancora più interessante è notare come questa base segreta della marina americana sulle armi biologiche in Indonesia (la nazione con la percentuale più alta al mondo di musulmani) è divenuta una vera e propria sede, grazie al sostegno dell’Istituto Rockfeller, essendo il principale centro per il Programma delle Malattie Virali Americane (VDP) in cui viene effettuata la ricerca epidemiologica e la ricerca in laboratorio sui virus delle febbri emorragiche, encefaliti, e richeziosi e dove il capo di questo istituto, David Rockfeller, ne ha sempre desiderato una massiccia riduzione nella nostra popolazione mondiale.
Ed all’agenda al momento in corso per cambiare radicalmente il nostro mondo attraverso la morte di massa della sua popolazione, non c’è bisogno di cercare oltre la spiegazione fornita dalle stesse parole di David Rockefeller pronunciate poco prima dell’incontro segreto della Commissione Trilaterale del giugno 1991, quando egli così disse:.
“Siamo grati al The Washington Post, The New York Times, Time Magazine e alle altre grandi produzioni stampa, dei quali i direttori hanno partecipato ai nostri incontri e rispettato le loro promesse di discrezione per quasi 40 anni. Sarebbe stato impossibile per noi sviluppare il nostro piano per il mondo se fossimo stati sottoposti alla luce della pubblicità durante questi anni. Ma adesso il lavoro è molto più sofisticato e pronto per guidarci verso un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di una elite intellettuale e di banchieri internazionali è sicuramente preferibile all’auto determinazione degli Stati praticata nei secoli passati.”
Per ciò che riguarda gli aeroplani statunitensi impiegati nella diffusione mondiale del virus influenzale suino mutato, abbiamo maggiori informazioni dalla Cina, come di seguito riportato:
“26 Giugno aeromobili sospetti son stati costretti ad atterrare. Un AN-124 americano ha cambiato il suo segnale di chiamata da civile a militare il quale ha poi innescato un responso dallo IAF riguardo l’ingresso nello spazio aereo pachistano, dunque l’aeroplano fu costretto ad atterrare a Mumbai mentre il secondo fu costretto ad atterrare da jet combattenti nigeriani che riuscirono anche ad arrestare l’equipaggio.
Secondo le notizie, la Cina (China’s People’s Liberation Army Air Force) ha contattato gli ufficiali dell’intelligence indiana e nigeriana circa la presenza di certi aeroplani ucraini operati da americani durante l’accrescente allarme che gli USA stessero diffondendo “agenti biologici” nell’atmosfera terrestre, e qualche ufficiale cinese ha creduto anche che potesse esserci un tentativo di genocidio attraverso il virus dell’influenza suina.
La cosa strana riguardo questi fatti e arresti come anche dell’obbligo di atterraggio immediato degli aerei, è che questi ultimi stavano trasportando sistemi di “smaltimento di scorie” che potevano spruzzare fino a 45000kg di gas da una rete sofisticata di canne che conducono attraverso i bordi d’uscita delle ali e da lì disperdere qualsiasi cosa ci fosse nei serbatoi attraverso il vapore”
I report di questi aeroplani statunitensi sopra l’Ucraina sono stati anch’essi comprovati, come si può leggere di seguito:
“Le autorità della città di Kiev, l’ Ucraina nega qualsiasi spray di “medicine in forma di aerosol” tramite aeroplano sulla città. Questo dopo che è stato denunciato che velivoli leggeri son stati visti volare sulla zona del mercato spruzzando una sostanza aerosol per combattere il virus h1n1 o l’influenza suina.
5 fonti lo confermano e anche i giornali locali di Kiev hanno ricevuto centinaia di chiamate da parte dei residenti e dei venditori che avevano visto gli aeroplani spruzzare una sostanza sospetta. Inoltre fu “consigliato” dalle autorità locali agli uomini d’affari e ai rivenditori locali di rimanere dentro durante il giorno.
Come se non fosse abbastanza, le autorità governative forzarono le stazioni radio di Kiev di negare gli eventi. Online su forum, siti web e blog furono riportate testimonianze preziose che lo confermano. Ci furono anche testimonianze della presenza di elicotteri che spruzzavano aerosol su Kiev, Lviv, Ternopil e lungo tutta l’Ucraina.
L’effetto più drammatico riguardante lo spray emesso sull’Ucraina di questo virus mutato è il devastante contagio che si è avuto tra la popolazione di queil luogo, come di sotto riportato:
“Quasi 40 000 persone sono state infettate da ieri in Ucraina da ciò che noi ancora chiamiamo “la piaga ucraina” ma I medici hanno recentemente detto che questo è un caso più grave del n1h1 o dell’influenza suina poiché è stato mutato il virus e ciò porta ad una grave infezione ai polmoni, che vengono distrutti e riempiti di sangue.”
Ma la peggior conseguenza di questo virus modificato è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adesso annunciato che sta uccidendo in Francia, Norvegia, Brasile, Cina, Giappone, Messico, Ucraina e negli USA con un tasso di mortalità alto a livello pandemico globale riportato a circa 8,000 vittime, con la Cina che ha confermato il contagio di questo virus adesso anche tra i cani.
È importante notare come l’obiettivo dell’aereo Americano abbattuto in Cina fosse una base segreta israeliana che si trovava nella nazione del Kyrgyzstan, luogo in cui Ebrei Ashkenazi (gli ebrei Ashkenazi costituiscono circa l’ 80% degli ebrei nel mondo) si considerano nella loro ‘patria spirituale’ dopo il loro lungo esilio sotto il comunismo sovietico, e dove gli analisti dell’intelligence russa affermano che gli israeliti sono vicini alla fine della lunga e decennale decodificazione dell’antico manoscritto Epica di Manas (che ha mezzo milione di versi ed è 20 volte più lunga dell’Odissea e dell’Iliade messi insieme) che loro credono contenere il più antico monito mondiale fino ai nostri giorni e che (coincidenza??) aderisce con le teorie dell’antico popolo Maya riguardo l’anno 2012 e la fine del mondo..
Quale sia il risultato finale di questi eventi non possiamo saperlo; oltre che constatare l’ovvio, ovvero che le verità di queste cose continueranno ad essere ignorate, perfino denigrate, dalle maggior persone la quale sterminazione è già stata a lungo pianificata da quei mostri ed ora effettuata, e che ancora non hanno idea di quanto sia realmente facile per loro essere controllati dalla propaganda dei loro padroni.
Si può solo sperare che la gente si svegli prima che sia troppo tardi, ma i fatti suggeriscono il contrario.
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Israel ataca Franja de Gaza por tierra, aire y mar
El ejército del régimen de Israel ha atacado en la madrugada de este martes la Franja de Gaza, bajo el pretexto de que el Movimiento de Resistencia Islámica Palestina (HAMAS) ha matado a 3 jóvenes israelíes.
Hasta el momento, el régimen de Tel Aviv ha lanzado más de treinta misiles a la Franja de Gaza mientras, según fuentes palestinas, sigue llevando a cabo ataques paralelos con aviones de guerra ‘F16′, helicópteros, artillería pesada y misiles mar-tierra.
Según un reportero de la cadena Palestina Al-Yaom, una treintena de misiles han impactado contra varias bases de HAMAS en la Franja de Gaza, entre ellas Al-Qadesia, Al-Safina y Hashashin al sur del enclave costero.
El ataque ha tenido lugar horas después de que las autoridades israelíes anunciaran el hallazgo de los cadáveres de los jóvenes desaparecidos hace algo más de dos semanas, en los alrededores de la localidad cisjordana de Hebrón (Al-Jalil), a pesar de que ningún grupo palestino ha reivindicado el secuestro.
Durante estas dos semanas, el régimen israelí ha atacado las casas de los palestinos y detenido a más de 500 con la excusa de estar buscando a sus tres ciudadanos que, según alegaba, habrían sido secuestrados por las fuerzas de HAMAS.
Mientras tanto, el portavoz de este movimiento, Sami Abu Zuhri, puso de relieve el lunes que la parte israelí estaba intentado justificar sus agresiones contra HAMAS, y desestimó sus acusaciones y amenazas. “Ya estamos acostumbrados y sabemos cómo defendernos”, aseguró.
HispanTV
http://www.diario-octubre.com/2014/07/01/israel-ataca-franja-de-gaza-por-tierra-aire-y-mar/
Chantaje financiero globalizado: ¿Cuántos buitres acosan a Argentina?
Claudio Katz
Rebelión
mar, 01 jul 2014 22:07 CDT
Argentina afronta nuevamente un chantaje financiero, pero esta vez la extorsión no tiene precedentes. Los especuladores que compraron bonos por 48 millones de dólares lograron en Nueva York una sentencia de cobro por 1500 millones.
Este fraude retrata cómo funciona el capitalismo actual. Al pueblo argentino le quieren imponer la misma confiscación que padecen los pequeños deudores norteamericanos, los desalojados de viviendas de España y los empobrecidos de Grecia. Cuando se convoca a reforzar la integración internacional a este sistema se empuja al país a nuevos padecimientos. Los buitres se disponen a repetir el mismo despojo que ya realizaron en otros lugares como Perú.
COMPLICES Y AUSENCIAS
En esta crisis ha salido a flote como opera la justicia estadounidense que muchos elogian como un ejemplo de independencia. No sólo Griessa, sino todos los magistrados que confirmaron el fallo demostraron su dependencia de Wall Street. Con este tipo de sentencias protegen a los especialistas en estafas de alto riesgo y a los evasores de los paraísos fiscales.
Como estos especuladores colocan periódicamente al sistema financiero al borde del abismo, también chocan con los gobiernos y organismos que pretenden regular su actividad. Por esta razón el propio FMI está descontento con un dictamen que afecta los ajustes que monitorea, para refinanciar las deudas de los países europeos colapsados por el socorro concedido a los bancos. La sentencia socava su proyecto de ordenar la quiebra de los estados mediante normas de negociación mayoritaria con los acreedores. Pero estos conflictos en los pasillos del poder no atenúan la expropiación de Argentina. Desde el inicio de la crisis global (2008) se discutieron incontables propuestas para limitar las aventuras financieras y no se aplicó ninguna. En este escenario de impunidad para la usura ningún poderoso va a impedir la ejecución de un fallo contra un país latinoamericano. No hay que ilusionarse con los formalismos diplomáticos. El maltrato contra un deudor incomodo como Argentina es plenamente compartido por Obama. El presidente del imperio exige sometimiento a Griessa y a su cobro de tributos.
Es cierto que el país ha recibido muchas declaraciones de solidaridad, desde el G 77 más China hasta la UNCTAD. Pero son mensajes cordiales sin efectos prácticos. Ningún escrito altisonante neutralizará el pago forzoso que se le impone a la Argentina. Esta falta de acompañamiento es más grave en Sudamérica. ¿Dónde están las Cumbres de Presidentes para afrontar situaciones de emergencia? ¿Qué medidas preparan UNASUR o CELAC para responder a esta bofetada contra toda la región? Hasta el momento tampoco aparecieron propuestas de intermediación de Brasil o iniciativas conjuntas para cambiar las jurisdicciones de litigio con los bonistas. Tampoco se habla de reactivar el fondo latinoamericano de estabilización de reservas, frente a un peligro de default. Esta ausencia de la región probablemente obedece al propio mareo que exhibe el gobierno ante lo que está ocurriendo.
DESCONCIERTO FRENTE A LA HIPOTECA
El oficialismo confiaba en un gesto de la Corte estadounidense para posponer el conflicto. Esperaba un reconocimiento por el giro ortodoxo que inició a principio año con la devaluación. Se aceptó la demanda de cinco empresas litigantes en el CIADI, se desembolsó la indemnización pedida por REPSOL y se pagaron en tiempo récord las viejas deudas con el Club de Paris. Pero ninguna de estas medidas disuadió a los protectores de los buitres. Al contrario, al observar disposición de pago reforzaron sus presiones de cobro. Cristina no tenía previsto el fallo adverso. Apostó con la miopía a un escenario opuesto, sin ningún plan para afrontar el dilema actual. Por esta razón improvisa respuestas. Un día denuncia la extorsión de los buitres y al otro sugiere el desembolso integro del dinero.
El gobierno ha quedado atrapado en el peor de los mundos. Si resuelve abonar en las condiciones que estableció Griessa se arriesga a ingresar en un pozo de demandas judiciales y erogaciones infinitas. Y si amenaza sin ninguna convicción con maniobras para eludir el pago, afronta un retorno al escenario de diciembre pasado con el dólar paralelo fuera de control. Al momento de escribir este artículo el gobierno no se atrevió a cambiar el domicilio de pago, pero intentó cumplir con los viejos bonistas soslayando la negociación que reclama Griessa. Los buitres exigieron el embargo de esos fondos y el juez bloqueó la operación, confirmando que empujará al país al default si no se aceptan las exigencias de los especuladores.
Hay un mes de plazo para cerrar las tratativas, pero lo más probable (y coherente con viraje ortodoxo del gobierno) es un acuerdo oneroso. Se ha creado un gran consenso entre el oficialismo y la oposición derechista para aceptar esa salida. Sólo divergen en los detalles del convenio. Algunos proponen abonar todo en efectivo y otros promueven cancelar el grueso de la factura en bonos. Algunos alertan contra la inconveniencia de hacer depósitos voluntarios y otros promueven esa vía. Algunos miran bien las bravuconadas en la negociación y otros piden no irritar al sultán Griessa. Pero todos ocultan los costos inmediatos del pago. La deuda pública aumentará de inmediato si se repite la emisión de bonos consumada para acordar con REPSOL. Lo mismo ocurrirá si se abonan las comisiones y punitorios que obtuvo el Club de Paris. Pero lo más grave viene después, ya que los 1300-1500 millones de dólares que se llevaran los primeros buitres constituirán el anticipo de los 12.000-15000 millones, que exigirá la segunda oleada de bonistas en litigio. Se estima que la mitad de ese 7% de "hold outs" reúne a fondos muy agresivos ("buitres de los buitres"), que harán demandas para obtener rápidos fallos favorables en Nueva York. El otro grupo tendría localizadas sus peticiones en Inglaterra, Alemania e Italia y una porción litigaría en el CIADI. En ese tribunal del Banco Mundial, Argentina tiene acumuladas demandas por unos 20.000 millones de dólares.
Pero lo más problemático fue explicitado por Cristina antes de avenirse a ingresar en el abismo. Si en los próximos años algún juez de alguna jurisdicción obliga a extender la mejora concedida a los buitres a los viejos bonistas, la hipoteca podría llegar a cifras incuantificables. Ese contexto situaría al país en un limbo jurídico, frente a las decisiones de cualquier émulo de Griessa. Esta perspectiva quedará particularmente abierta si los nuevos bonos en discusión mantienen los tribunales extranjeros como sede de controversias. En este caso se eternizaría el sometimiento financiero que Argentina conoce muy bien desde la época de la Baring Brothers.
FANTASÍAS TRANQUILIZADORAS
El gobierno y la oposición derechista vislumbran igualmente un futuro promisorio, luego de superar las turbulencias de la negociación actual. Estiman que el país accederá a los beneficios de un gran reingreso al mercado internacional. Afirman que "conseguiremos refinanciación barata", para acceder a muchos dólares con bajas tasas de interés. Pero ese dorado escenario no sería tan inmediato, puesto que todas las emisiones próximas están previstas con costos que duplican el promedio mundial. Se tomarán créditos para cancelar préstamos, con el pálido consuelo de un abaratamiento ulterior de esa intermediación.
Por ahora existen fuertes vencimientos con bajas reservas. Las obligaciones suman 30.000 millones de dólares hasta fines del 2015, con divisas actuales de resguardo por 27.000 millones. Esta fotografía ilustra un escenario de tratativas al filo de la navaja. Además, los créditos del futuro no vendrán gratis. Exigirán al estado solvencia de repago, con la consiguiente contraparte de ajustes fiscales. La famosa pregunta mediática ("¿cómo afectará esa situación a la vida cotidiana de la gente?") tiene una respuesta contundente: habrá recortes del gasto para los trabajadores, los jubilados y los desempleados.
Es muy posible que ese reingreso al circuito de la refinanciación incluya un retorno del FMI, que es el gran encargado internacional de gestionar nuevos créditos para pagar deudas anteriores. Un economista predilecto de Scioli (Blejer) ya declaró que la reconciliación con el Fondo será el punto de partida de su plan económico. El gobierno construye un puente hacia ese escenario, argumentando que el país necesita crédito externo para obras de infraestructura. Pero omite señalar que el grueso de la financiación en curso apunta a solventar gastos corrientes. Especialmente las provincias (Buenos Aires en primer lugar) utilizarán ese dinero para pagar sueldos. Por otra parte, los préstamos de inversión priorizan la minería y el petróleo. Solventarán a las empresas que dinamitan la Cordillera o a las compañías que se aprestan a seguir el formato de los acuerdos secretos que YPF firmó con Chevron. Tendrán un nuevo precio en boca de pozo, autorización para girar dividendos y libertad para exportar a partir de cierto nivel de extracción.
Muchos economistas neoliberales igualmente declaran que "la deuda es baja y podemos endeudarnos", olvidando que con ese mismo diagnóstico gobernaron y crearon la montaña de pasivos que arruinó al país. Los oficialistas describen el mismo contexto de desahogo financiero, afirmando que constituye un mérito de la "política de des-endeudamiento". Pero la disminución del pasivo total de 130 % o 90% del PBI (según el momento de comparación con el colapso del 2001) al 46% actual, mantiene porcentajes históricos significativos de endeudamiento público. Es un promedio semejante a los años 90, inferior a los momentos críticos de los 80 y superior a la media de los 70. El carácter problemático de la deuda argentina radica en la capacidad de pago, más allá de la reducida proporción frente al PBI que presenta en comparación a muchos países. El gobierno afirma que la solvencia ha crecido con el cambio de composición de compromisos externos hacia obligaciones internas.
El total de la deuda en moneda extranjera disminuyó de 94% (2000) a 59% (2012). Y el grueso de ese pasivo local es intraestatal, puesto que las obligaciones con organismos públicos pasaron en el mismo período del 6% al 58%. Se destaca que esta estructura de pagos es manejable, ya que los vencimientos se refinancian mediante simples decretos gubernamentales. ¿Pero qué quiere decir que la mitad de la deuda actual constituye un compromiso del estado con sí mismo? Qué se ha construido una ficción estadística para descargar los costos del pasivo sobre las mayorías populares. Gran parte del endeudamiento inter-estatal es con Banco Central, que ha sido convertido en una máquina de emisión con impacto inflacionario. El otro soporte es el ANSES que aumenta su tenencia de bonos públicos, mientras pospone el pago de sentencias por mala liquidación de haberes. Algunas estimaciones elevan ese pasivo a 28.200 millones de dólares.
La deuda inter-estatal es actualmente solventada por los jubilados que no cobran los atrasos de sus remuneraciones. En este terreno rige una doble vara de respuestas gubernamentales a las sentencias judiciales. Lo que ordena Griessa se negocia y las intimaciones de la Corte Suprema argentina para normalizar la situación de los jubilados son ignoradas. El trasfondo del problema es la total ineficacia de la política oficial de des-endeudamiento. En la última década se pagaron unos 50.000 millones de dólares a los organismos internacionales y 80.000 millones a los acreedores privados (otros cálculos elevan ese total a 173.000 millones). Mientras el gobierno exhibía con orgullo su comportamiento de "pagador serial", las reservas se desplomaban y las salidas de capitales sumaron otros 80.000 millones.
Este proceso pasará a la historia como un ejemplo mayúsculo de ceguera económica. Sólo competirá en ese terreno con la opción neoliberal de retomar alegremente el endeudamiento, para "repetir lo que hacen nuestros vecinos". Una larga experiencia de la región indica que abrir las fronteras al libre ingreso y salida de capitales otorga un pasaporte directo al temblor financiero. Sólo con el tiempo se podrá establecer, además, un real balance del canje del 2005 que tanto enorgullece al gobierno. Si ese intercambio inicial de títulos hubiera sido tan exitoso, no enfrentaríamos actualmente el escenario de terror que han detonado un juez y sus buitres. El monto real de la famosa quita deberá ser recalculado a la luz de todos los pagos adicionales que se realizaron a través del cupón de crecimiento. Los defensores del canje también olvidan que gran parte de los bonos emitidos en esa operación incluyeron la aceptación de dirimir litigios en Nueva York. Esta concesión fue justificada por la excepcionalidad del momento. "No se podía hacer otra cosa a salida del colapso del 2001". Pero se omite mencionar que los títulos colocados en los últimos meses (por ejemplo con REPSOL), también incorporan la misma aceptación de tribunales internacionales. ¿Tampoco ahora se pudo hacer otra cosa?
SIEMPRE HAY ALTERNATIVAS
Con el episodio de los buitres el gobierno refuerza el giro hacia el ajuste que inicio con la devaluación, pero mantiene un discurso contestatario. Disfraza con retórica progresista el puente que construye hacia la sucesión conservadora del 2015.
La derecha se burla de este divorcio entre "el relato y la realidad". Pero esas ironías no logran ocultar sus propios mitos y veneraciones de los capitalistas. Se ríen de Boudou pero hablan con solemne respeto de Griessa, hacen chistes sobre la Cámpora pero no sobre Rocca o Grobocopatel. Especialmente eluden que actualmente acompañan las decisiones del gobierno. Todos marchan por el mismo rumbo. La derecha se congratula con el viraje pos-devaluación del oficialismo y el gobierno irrita verbalmente a los poderosos mientras implementa sus mandatos.
Las incongruencias del kirchnerismo son patéticas. Empapelan la ciudad contra los buitres mientras negocian sus exigencias. Convocan a un "frente nacional" contra los especuladores que ya incluye a todos los subordinados a Griessa. En este mundo invertido el sometimiento a demandas foráneas es presentado como una gran victoria nacional. Los ministros declaran que "vencimos a REPSOL" con un cheque de pago y que "le torcimos el brazo al Club de Paris" desembolsando una fortuna. Este doble discurso oficial exige minimizar todas las capitulaciones o contrastarlas con eventualidades más catastróficas. Hubo devaluación (pero "frenamos un dólar a 13 pesos"), se pagó a REPSOL (pero "menos de lo que querían"), se arregló con el CIADI ("pero no fue muy caro") y se acordó con el Club de Paris ("pero era un pasivo que heredamos").
Lo llamativo es la ausencia de reacciones críticas en vasto campo del oficialismo. El conformismo kirchnerista contrasta con la tradición de rechazos, que en el pasado generaban los virajes conservadores del justicialismo. Los ahijados de la gloriosa JP se mantienen por ahora en silencio. Afortunadamente ya despuntan fuertes cuestionamientos de la izquierda y los sectores progresistas y antiimperialistas, que no aceptan el chantaje descalificatorio de los planteos alternativos. Al igual que en los 90 vuelven a circular las advertencias del purgatorio que le espera al país "si nos aislamos del mundo". Con esos augurios se justificó el endeudamiento que condujo al colapso.
Las opciones actuales no se reducen al default o al pago a los buitres. Esa disyuntiva es un episodio coyuntural derivado del enredo que auto-generó el oficialismo. La solución a esta encerrona exige reconocer que Argentina no necesita endeudarse significativamente. Tiene suficientes recursos propios para administrar sus gastos, si ordena su ahorro e impide el drenaje de excedentes. Los 80.000 millones de dólares expatriados durante la "década ganada" surgieron de ganancias y rentas creadas en el país. La estimación oficial de 205.000 millones de dólares de capitales argentinos localizados fuera de las fronteras se ha quedado corta frente dos estudios recientes, que elevan esa cifra a 379.000 millones (Gaggero) y 440.000 millones (Henry). Este vaciamiento fue tradicionalmente financiado con endeudamiento público. Un peligroso anticipo de repetición de esa pesadilla es el blanqueo en curso para todos los evasores de gran porte. Desde hace meses se renueva un perdón fiscal para quienes sustrajeron fondos. La complicidad oficial con la salida de capitales se extiende ahora a su reingreso.
No tiene sentido volver a endeudarse frente a este escenario de dinero sustraído del circuito nacional. Pero más hipócrita es afirmar que semejante despojo se corrige "restaurando la confianza" para que "vuelvan los capitales". El arreglo con los buitres, el recorte del gasto social, los techos a las paritarias y una escalada de tarifazos son las primeras medidas que exigen los poderosos para considerar ese retorno. La recomposición del ahorro nacional exige el control estatal de las rentas generadas por las exportaciones (nacionalización del comercio exterior) y la estricta regulación de las divisas (mediante un control de cambio en serio y un sistema bancario estatizado).
En este marco se puede replantear la deuda, investigando su contenido y discriminando los montos que corresponde abonar. Un principio de esa auditoría fue cajoneada por el alfonsinismo, el menemismo, la Alianza y el Kirchnerismo. Ninguno quiso destapar la olla de ese pasivo. Pero los incontables canjes no han borrado las huellas de estos delitos, ni impiden separar lo fraudes de los compromisos legítimos. Esa investigación permitiría conocer cuáles son los grupos económicos que deben ser gravados con impuestos especiales. No son intocables. Un gobierno con autoridad puede cerrar las canillas de sus transferencias al exterior y poner la lupa sobre sus recursos dentro del país. La investigación es también indispensable para reemplazar definitivamente los bonos en circulación por títulos sujetos a la legislación argentina.
La suspensión del pago es una medida insoslayable, pero sujeta al momento y conveniencia de la nueva estrategia. La existencia de este plan diferencia tajantemente un replanteo de la deuda del simple default, que es una cesación de pagos indeseada e inmanejable para el deudor. Con otra política se podría reorientar los créditos concertados en el futuro hacia proyectos productivos. La batalla contra la deuda vuelve a reaparecer en un contexto muy distinto al pasado. La propia marcha de esta resistencia delineará las demandas y las medidas requeridas para cada momento. El punto de partida es recuperar la mirada crítica y la disposición a luchar.
Los desahucios en España aumentaron un 20% hasta marzo
El número de ejecuciones hipotecarias —el primer paso hacia el desahucio— se situó en 32.565, un 10,4% más que en el cuarto trimestre del año pasado y un 19,5% más que en el primer trimestre de 2013.
De esas 32.565 ejecuciones hipotecarias contabilizadas hasta marzo, 18.971 correspondieron a viviendas, con un crecimiento intertrimestral del 11,4% y una subida anual del 8%, según la nueva estadística de ejecuciones hipotecarias publicada este lunes por el Instituto Nacional de Estadística (INE).
El objetivo principal de esta estadística es ofrecer trimestralmente el número de certificaciones de ejecuciones hipotecarias iniciadas e inscritas en los Registros de la Propiedad durante el trimestre de referencia. Estadística recuerda que no todas las ejecuciones de hipoteca terminan con el lanzamiento (desahucio) de sus propietarios, pero sí representa, al dejar de pagar la hipoteca el afectado, el inicio del proceso.
Como explica el INE, “la ejecución hipotecaria es un procedimiento ejecutivo a través del cual se ordena la venta de un bien inmueble, que estaba gravado con una hipoteca, por incumplimiento del deudor de las obligaciones garantizadas con la hipoteca”.
La estadística del INE señala que dentro de las viviendas, las ejecuciones hipotecarias sobre viviendas de personas físicas sumaron 12.120 en el primer trimestre, de las que 9.464 (el 78,1%) son viviendas habituales en propiedad y 2.656 no son residencia habitual de los propietarios.
El número de ejecuciones sobre viviendas habituales fue un 19,1% superior a la del trimestre anterior, pero un 4,2% inferior a la del periodo enero-marzo de 2013. En cuanto a las residencias no habituales, aumentaron un 20,6% en tasa intertrimestral, aunque descendieron un 1,4% en relación al primer trimestre de 2013.
LibreRed / Público
EEUU y Europa se oponen a obligar a multinacionales a respetar los Derechos Humanos
La ONU aprobó esta semana una resolución histórica que permitirá vigilar a las grandes corporaciones en los países del Sur. China, Rusia, Venezuela y Cuba votaron a favor. Alemania, Francia, EEUU o Reino Unido, en contra.
La Organización de las Naciones Unidas (ONU) ha aprobado esta semana un resolución histórica, que abre el camino para poder vigilar de cerca el cumplimiento de los derechos humanos por parte de las multinacionales a lo largo y ancho del planeta; un terreno hasta ahora inexplorado a estos niveles, y una resolución del Consejo de Derechos Humanos de la ONU que ha supuesto una inyección de optimismo en las organizaciones y colectivos que luchan por estas causas.
“Ha sido una gran victoria”, reconoce a Público Diana Aguiar, investigadora del Transnational Institute, una de las organizaciones que han presionado para lograr la aprobación de esta resolución. Con 20 votos a favor, 14 en contra (entre ellos los de la UE y EEUU) y 13 abstenciones, la ONU se ha comprometido este jueves en Ginebra a formar un grupo de trabajo con los gobiernos de distintas naciones para crear un marco legal, un tratado que comprometa de forma efectiva a los estados a supervisar el cumplimiento de los derechos humanos.
“La idea es crear un tratado vinculante para todas las multinacionales, para que no puedan incumplir derechos humanos en los países que lo ratifiquen. Lo que empieza ahora es la negociación del trabajo, pero esto no tiene antecedentes. Antes solo había normas para la protección de los intereses de los inversionistas, como los tratados de libre comercio, pero no había hasta hoy ningún tipo de norma vinculante en el derecho internacional que señalara a las multinacionales como culpables. Hay muchos casos en los que se ha intentado acceder a justicias nacionales [para enfrentarse a las empresas], pero por limitaciones diversas no se ha logrado, y este mecanismo cambia la distribución de fuerzas”, asegura.
“A partir de 2015 tendrán dos años para ponerlo en práctica”, explica a este medio Tom Kucharz, portavoz de Ecologistas en Acción, otra de las organizaciones que han celebrado la resolución de Naciones Unidas, que previsiblemente logrará la aprobación de un tratado que ratificarán “los países que lo deseen, aunque la voluntad sea que lo ratifiquen todos”, como asegura el activista.
“Ha quedado claro que los crímenes de lesa humanidad cometidos por empresas transnacionales, y los que se siguen cometiendo en la actualidad, no pueden continuar y no pueden quedar impunes. Es una demanda de las víctimas de estas violaciones de los derechos humanos, y de gran parte de las organizaciones y movimientos sociales del mundo”, explica.
Preguntada por un ejemplo de los derechos por cuyo cumplimiento velará este mecanismo, Aguiar confirma que permitirá garantizar condiciones de trabajo dignas, contribuyendo a igualar las que afrontan los trabajadores de la India o de Bangladesh con las de los asalariados en estados de occidente -mientras estos países firmen-, pero también servirá para luchar contra la contaminación de suelos y ríos, o la persecución de defensores de derechos humanos. “Las empresas persiguen a quienes trabajan por los derechos humanos, muchas veces con la connivencia de los Estados”, asegura.
Entre los países que han votado a favor están China, Rusia, Cuba, India, o Venezuela, mientras que entre los que han cargado contra la resolución figuran Alemania, Francia, Italia o Reino Unido; algunas de las grandes potencias de la UE, acompañadas por EEUU. Algo que, en palabras de Kucharz, “evidencia qué países defienden al gran capital, a la banca y a las grandes compañías multinacionales, como la Unión Europea, Estados Unidos y Japón, y quienes defienden a las víctimas de los abusos de las grandes empresas, como los veinte países que han votado a favor de la resolución”.
Aguiar coincide con la lectura de Kucharz: “Los países que acogen a las mayores empresas internacionales no lo han firmado; defienden los derechos de las empresas y no de los ciudadanos, es absurdo. Es el resultado de cuarenta años de políticas neoliberales”, defiende, poniendo como ejemplo las palabras de una de las mandatarias presentes en la votación. “La representante de Reino Unido ha criticado que esta resolución puede restar valor a los inversionistas para ir a países del sur; está diciendo abiertamente que es más importante la inversión que los derechos humanos “, afirma.
“La intervención de la UE ha sido lamentable”, añade Kucharz. “La Unión Europea y Estados Unidos apoyan a las grandes corporaciones por encima de su obligación de velar por el cumplimientos de los derechos humanos. Con su rechazo a la resolución, no sólo han mostrado su desprecio por las leyes internacionales de Derechos Humanos, sino que además han convertido a los gobiernos en cómplice de las graves violaciones de los derechos humanos por parte de las empresas transnacionales”, esgrime.
El portavoz de Ecologistas en Acción y la investigadora del Transnational Institute participan en la campaña global para desmantelar el poder corporativo -Stop Corporate Impunity- que lleva meses haciendo presión política para influir en la decisión de Naciones Unidas. En total, más de 610 organizaciones de 95 países han exigido a la ONU la aprobación de la resolución presentada por Ecuador y Sudáfrica, que abre nuevos caminos para su causa.
Victoria parcial
“El resultado del grupo de trabajo intergubernamental dependerá de la continuidad de las movilizaciones de la sociedad civil; esta votación ha sido sólo la victoria de una batalla parcial, nos queda mucho camino por delante para erradicar los crímenes de las multinacionales y la impunidad”, asegura Kucharz.
Preguntada por ejemplos que evidencien los efectos del nuevo mecanismo de la ONU, Aguiar responde que dependerán del contenido de tratado. “Lo que hay de mínimo es que ha habido un cambio cultural; lo que ha pasado en la ONU especialmente en los últimos 20 años cambia, ya ha habido una derrota, hay gobiernos que han presionado. Empieza el desmantelamiento de la idea de que las empresas deben ser defendidas de los gobiernos. En el caso de la Chevron [petrolera en disputa con el Estado de Ecuador], las víctimas han ganado el caso, pero antes de que ganaran Chevron sacó sus activos del país, la justicia se quedó sin poder expropiar para pagar a las víctimas. Si esto se aprueba, cualquier otro país en el que tuviese peso podría expropiar parte de sus recursos, es una de nuestras peticiones”, añade.
También coincide con su compañero de Ecologistas en Acción en que habrá que presionar para que los países ratifiquen el futuro tratado. “La UE se ha negado, pero vamos a presionar. ¿Cómo puede Bruselas decir que está a favor de los derechos humanos y no apoyar algo que va a regular la actividad de las empresas? ¿Cómo decir que un país como España, que compra ropa fabricada en Bangladesh [en mención al mortal derrumbe en una industria textil el pasado año] no va a participar en un proceso que regule las operaciones de una empresa internacional?
En esta línea, añade Kucharz, durante la semana varios movimientos y organizaciones sociales, así como comunidades afectadas por crímenes sociales y ambientales, han presentado en una audiencia especial del Tribunal Permanente de los Pueblos en Ginebra 12 casos de violaciones sistemáticas de los derechos humanos por multinacionales. Entre ellos, los de las petroleras Chevron-Texaco en Ecuador y Shell en Nigeria, la israelí Mekorot en Palestina, la minera suiza-inglesa Glencore Xstrata en 7 países, Lonmine en Sudáfrica o Coca Cola en Colombia, o el de la empresa española Hidralia en Guatemala.
“Lo que tuvimos ayer [por el jueves] fue una gran victoria”, esgrime Aguiar. “Ahora se abren caminos en los que los defensores de derechos humanos tenemos que presionar, lo que pase dependerá en gran medida de nuestro capacidad para ello”, zanja.
Potencias de la UE contra la resolución
El Consejo de Derechos Humanos es el organismo intergubernamental de la ONU encargado de fortalecer la promoción y protección de los derechos humanos en todo el mundo. Está compuesto por 47 miembros de Naciones Unidas, elegidos por la Asamblea General, y España no está entre ellos. Así han votado los distintos estados la resolución de este jueves:
A favor: Argelia, Benín, Burkina Faso, China, Congo, Cuba, Etiopía, India, Indonesia, Costa de Marfil, Kazajistán, Kenia, Marruecos, Namibia, Pakistán, Filipinas, Rusia, Sudáfrica y Venezuela.
En contra: Austria, República Checa, Estonia, Francia, Alemania, Irlanda, Italia, Japón, Macedonia, Montenegro, Corea del Sur, Rumania, Reino Unido, Estados Unidos.
Abstenciones: Argentina, Botswana, Brasil, Chile, Costa Rica, Gabón, Kuwait, Maldivas, México, Perú, Arabia Saudí, Sierra Leona y Emiratos Árabes Unidos.
LibreRed / Público
Etiquetas:
Multinacionales Psicópatas,
ONU
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